L’ importanza della genomica funzionale
Oggi la ricerca che studia la genomica funzionale sta vivendo un momento esaltante. Circa quattro anni fa si è completata la lettura del genoma umano e appena un anno e mezzo dopo il progetto
“ Genoma murino” è arrivato allo stesso traguardo ed oggi è conosciuta la sequenza genica di parecchie specie animali. Queste scoperte, nella loro entità, hanno posto almeno due capisaldi nell’attuale ricerca scientifica: il primo è che i geni umani sono molto meno di quanto ce ne aspettasse, circa 30.000, il secondo è che non più di trecento geni distinguono la specie umana da quella murina ad esempio. Si stima, difatti, che circa il 99% dei geni presenti nell’uomo e nel topo siano uguali e abbiano funzioni analoghe ( Capecchi, 1994 ). Questo costituisce un punto di partenza importantissimo, difatti, a tutt’oggi, solo al 15% delle proteine codificate dai geni è stata attribuita una funzione nota, per cui ben si comprende come la prossima frontiera sia tracciare la mappa e definire il ruolo dell’insieme delle proteine presenti nelle nostre cellule, ed arrivare così alla formulazione di “ Progetto Proteoma “.
Infatti, se i geni ci dicono se corriamo o meno il rischio di sviluppare una malattia, solo la compressione delle funzioni delle proteine, che sono il “braccio operativo” del DNA, può determinare la possibilità di un intervento terapeutico operativo, specifico e quindi mirato.
Le moderne tecniche biotecnologiche hanno reso possibile questo tipo di approccio, aprendo in tal modo, scenari di possibilità terapeutiche “infinite”.
Per decenni il lavoro dei genetisti si è concentrato sullo studio di mutazioni che, a partire dal genotipo, rilevavano la funzione del gene in cui si erano prodotte. Tuttavia in organismi complessi, come l’uomo o anche modelli animali come il topo, per molti anni le mutazioni ottenute erano limitate a quelle osservate a caso nel corso degli incroci ed erano essenzialmente legate a modifiche visibili nel fenotipo. La possibilità, così, di generare delle modifiche genetiche intenzionali e controllate era un sogno anticipato già da Avery e colleghi più di cinquanta anni fa quando, nei loro studi sui batteri, dimostrarono che il DNA è il supporto chimico dei caratteri ereditari e scrissero: “ I biologi hanno a lungo tentato attraverso mezzi chimici di indurre negli organismi superiori cambiamenti prevedibili e specifici che potessero poi essere trasmessi in serie come caratteri ereditari”. Adesso questo sogno è diventato realtà. La ricerca grazie alle biotecnologie è in grado di modificare l’assetto genetico, a partire dall’inserzione controllata di mutazioni sino alla distruzione mirata di determinati geni nel loro contesto biologico reale, alterandone o silenziandone così l’espressione. Questo rende possibile lo studio di un gene o gruppi di essi, in vivo e soprattutto conoscere il loro ruolo sin dai primi stadi embrionali, capire in che modo partecipano durante lo sviluppo e analizzare come mutazioni a loro carico possano essere responsabili di determinate patologie, incluso il cancro.
A cura di
Dr. Fabio Iannotti
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